Spesso e volentieri si parla di calibri e strozzature, ma non tutti hanno le idee chiare in proposito… vediamo di fare un poco di chiarezza anche grazie al supporto del Prof. Simone Bertini, uno dei massimi esperti di caccia.
In questo primo appuntamento faremo un viaggio nella storia dei calibri, con alcune pillole informative per ognuno di essi.
L’argomento “calibro” nelle armi da caccia è sempre stato oggetto di numerose discussioni e talvolta di pareri contrastanti; quante volte abbiamo sentito dire, infatti, che “il calibro 12 è tutta caccia”, “il calibro 20 è quanto di meglio vi sia per la migratoria”, “il calibro 16 è la soluzione ottimale”, “il calibro 28 è il migliore“, “il calibro .410 è un calibro sportivo”, e così via dicendo. Stiamo ovviamente parlando di calibri per fucili ad anima liscia, perché tralasceremo i calibri per armi rigate.
Ma che cosa rappresenta in pratica la parola “calibro”? Potremmo rispondere che il calibro indica il diametro interno della canna espresso in una unità di misura, siano essi i decimi di pollice, i millimetri, ma non nel caso dei fucili ad anima liscia. In questi ultimi è stata convenzionalmente mantenuta la misurazione inglese, che era del tutto particolare. In buona sostanza, gli inglesi indicavano il calibro con il numero di palle di piombo sferiche che avevano il diametro necessario per poter essere sparate dalle stesse canne. Inoltre le palle dovevano essere ricavate da una libbra inglese (unità di misura che corrisponde a 453,6 grammi), tenendo presente che – a seconda del paese – il peso della libbra poteva differire leggermente. Un calibro 12 indica pertanto che si potevano ricavare 12 palle di piombo dalla libbra, mentre un calibro 20 poteva disporre di una canna in grado di sparare 20 palle di piombo ricavate dalla stessa libbra. E così via per gli altri calibri; assistiamo quindi ad un paradosso, in cui all’aumentare della numerazione del calibro (dal 12 al 28, ad esempio), corrisponde un calibro più piccolo. Attenzione: quanto abbiamo appena detto non vale per il calibro .410, in quanto quest’ultimo indica il diametro del proiettile in pollici. Questo calibro rappresenta pertanto un’eccezione nel panorama armiero e nella modalità di classificazione.
Altrettanto ovviamente, dal numero delle palle ricavate da una libbra, si può risalire al diametro nominale della canna stessa attraverso una formula; quando andiamo a parlare infatti di diametro in anima di una canna, andiamo a citare il diametro che la casa costruttrice ha ritenuto opportuno utilizzare, pur rimanendo nell’ambito della variabilità concessa dalle norme CIP. Giusto a titolo di esempio e di indicazione, una canna del calibro 12 può andare da un minimo di 18,1 mm ad un massimo di 18,9 mm; una canna del calibro 16 da un minimo di 16,80 mm ad un massimo di 17,20 mm; una canna del calibro 20 da un minimo di 15,80 mm ad un massimo di 16,1 mm; una canna del calibro 28 da un minimo di 13,9 mm ad un massimo di 14,4 mm; una canna del calibro 36 da un minimo di 10,40 mm ad un massimo di 10,8 mm.
Fra poche righe parleremo dell’utilizzo venatorio dei vari calibri, facendo qualche esempio per solleticare la vostra curiosità; ma prima vogliamo ancora soffermare la vostra attenzione sulla strozzatura, anche perché l’azione venatoria stessa è spesso e volentieri condizionata in senso positivo o negativo da una corretta scelta. La canna liscia ha subito – all’inizio della sua storia – diversi tentativi di modifica per aumentare la portata utile dei pallini o comunque per ottenere il rendimento migliore possibile; le prime canne erano difatti molto lunghe, ben di più di quanto siamo abituati a vedere oggigiorno, almeno per gli scopi venatori. Nel tempo queste convinzioni vacillarono, al punto che si passò da un estremo all’altro, con l’armaiolo inglese Chruchill che pubblicizzò enormemente le canne di 25 pollici, ossia 63,5 cm! Fior di libri da lui scritti raccontano dei vantaggi derivanti dall’utilizzo di una canna corta rispetto ad una canna lunga. In realtà si può quasi tranquillamente affermare che con i moderni materiali costruttivi, non esista una soverchia differenza nel rendimento balistico di quella o di quell’altra canna, specialmente per quanto riguarda la sua lunghezza. L’importante è che vi sia una lunghezza sufficiente per permettere alla carica di propellente contenuto nelle cartucce di bruciare in modo corretto.
Fu l’avvento delle strozzature il fatto geniale che modificò la resa balistica delle canne; dopo i primi tentativi di Pape, il geniale armaiolo inglese W.W. Greener fu l’inventore della strozzatura moderna; in pratica la canna cilindrica veniva strozzata alla bocca, cosa che ne aumentava l’efficacia sul selvatico, come dimostrato dai numerosissimi esperimenti condotti e pubblicati all’epoca. Aveva preso piede così l’introduzione della strozzatura in un fucile ad anima liscia da caccia, dapprima applicata in maniera fissa sulle canne e poi successivamente declinata nel variegato mondo degli strozzatori intercambiabili. Oggi giorno praticamente tutti i fucili commerciali/industriali sono concepiti per ospitare gli strozzatori intercambiabili, lasciando soltanto ad alcune armi particolari e customizzate la scelta di una coppia di strozzature fisse. Un fiume di opinioni è stato speso per capire se siano da preferire le canne con strozzature fisse a quelle dotate di strozzatori intercambiabili, ma è diventata una questione di lana caprina; come detto, tutte le canne moderne sono dotate di un set (più o meno completo) di strozzatori, cosa che ne ha accresciuto oltre misura le potenzialità venatorie.
Gli strozzatori moderni, realizzati in acciai di elevatissima qualità e finanche in materiali nobili (leghe di titanio) presentano geometrie interne che nulla hanno da invidiare a quelle soluzioni che erano proposte dagli armaioli e dai cannonieri, dove la loro perizia sopperiva deficit costruttivi ancora innegabilmente presenti nel secolo scorso. La standardizzazione dei processi industriali, unitamente ad una costruzione virtualmente priva di tolleranze meccaniche e a studi scientifici sulla distribuzione dei pallini (visualizzabili con telecamere potentissime e slow motion), permette di disporre di accessori che diventano parte integrante del fucile e in particolare della canna, esaltandosi a vicenda. Senza contare il vantaggio tecnologico offerto da un buon set di strozzatori, il cacciatore/tiratore può facilmente cambiare scenario venatorio in pochi minuti, cambiando completamente il rendimento balistico delle sue canne e del suo fucile, di qualunque calibro sia. Anzi, l’adozione degli strozzatori intercambiabili ha esaltato quei calibri che sino a pochi anni prima erano relegati a calibri da uccelletti, buoni soltanto “da capanno” e che hanno invece conosciuto – a partire dalla fine degli anni 90 – un enorme successo di pubblico e di vendita. Al punto di passare dall’accezione di fucili per bambini a fucili “non plus ultra” per quanto riguarda la balistica.
Abbiamo voluto sintetizzare e riassumere in poche parole più di un secolo di storia e di importanti tentativi, che hanno di fatto rivoluzionato il fucile ad anima liscia. E, badate bene, non abbiamo minimamente affrontato il problema dei materiali costruttivi con cui erano realizzate le canne, perché non è lo scopo del presente articolo, anche se ci ripromettiamo di cercare di appassionarvi pure a questo interessante argomento.
Meno che mai abbiamo affrontato il problema derivante dal caricamento (sia esso industriale, sia esso artigianale) delle cartucce nei calibri 28 e particolarmente del calibro .410, laddove la convinzione dell’utente comune secondo cui non si corre alcun rischio nello sbagliare dosi, si rivela completamente errata e finanche molto pericolosa, proprio per la strutturazione stessa delle cartucce di piccolo calibro. Saranno argomenti ai quali dedicare altri…approfondimenti, a partire dal prossimo in cui scenderemo sul campo andando ad analizzare la beccaccia e la selvaggina stanziale!